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Giovedì, 06 Giugno 2019 12:31

Lina Wertmuller, un Oscar alla carriera.

L'annuncio dell'Academy. La statuetta verrà consegnata alla regista italiana il prossimo ottobre.

Un Oscar per Lina Wertmuller. L’Academy of Motion Picturesha annunciato che nel 2020 la regista e sceneggiatrice italiana riceverà la statuetta alla carriera.

La nomination all’Oscar, la prima mai assegnata a una regista donna, Lina Wertmüller la ottenne nel 1977 per il film Pasqualino Settebellezze, proiettato in versione restaurata al 72esimo Festival di Cannes con gli onori riservati ai grandi del cinema. Quarantadue anni dopo, l’Academy of Motion Picture Arts & Sciences annuncia che fra gli Oscar alla carriera designati quest’anno ci sarà anche lei, la regista con gli occhiali dalla montatura bianca, la pelle ambrata anche nel pieno dell’inverno e il sorriso pieno, che non ha mai nascosto ai fotografi e sui tappeti rossi srotolati ai numerosi festival a cui ha presenziato.

Ha trasformato l’industria del cinema. Con questo Oscar alla carriera Lina si accomoda nel nostro nazionale Olimpo di statuette, tra amici del tempo perduto e amici di oggi, con Fellini, da cui era stata a bottega (aiuto regista per La dolce vita e 8 1/2), De Sica, Sophia Loren, Elio Petri, e Tornatore, Salvatores, Benigni, Sorrentino.

Prima segretaria di edizione, poi aiuto regia per i successi maggiori di Fellini, la Wertmuller iniziò la sua carriera di regista nel 1963 con la ficcante commedia esistenziale I basilischi. Seguirono un paio di musicarelli con la Pavone e nel 1972 il primo vero successo dal titolo pienotto ma non ancora chilometrico: Mimì metallurgico ferito nell’onore, sempre con un folgorante e inesauribile Giannini. Successo doppiato nel 1973 con Film d’amore e d’anarchia che finì in concorso a Cannes.

Col senno di poi, si poteva intuire: tra le immagini cult dell’ultimo festival di Cannes, due settimane fa, in occasione dell’omaggio per il restauro di Pasqualino Settebellezze. Era una battuta, detta quest’inverno in un’intervista, "be’, un Oscar alla carriera non guasterebbe" (e ripetuta a Cannes dalla figlia Maria), diventa ora un sorpreso ringraziamento, con implicito ammicco a chi in Italia qualche volta la snobbò: "Sono molto grata per la decisione di assegnarmi questo premio, che non mi aspettavo affatto e che per questo è tanto più gradito, e l’accetto volentieri. Mi fa piacere dedicarlo a Enrico Job, compagno di una vita e di lavoro e a nostra figlia Maria. Certo gli americani, grazie a Dio, mi hanno sempre voluto bene". A lei, il secondo Oscar alla carriera per una regista: l’ha preceduta solo Agnes Varda, nel 2018.

 

In italia era piuttosto maltrattata dalle critiche democristiane e non, pure la sinistra al tempo non l’amava perché ironizzava sulle classi operaie, dal metallurgico Mimì (sempre Giannini con la favolosa Mariangela Melato, 1972) al marinaio villano travolto da un insolito destino cioè quello d’incapricciarsi di una borghese (ancora Giannini e ancora Melato, 1974). In realtà, nell’incedere sempre grottesco dei suoi copioni, Lina dava ai suoi splendidi protagonisti proletari l’occasione di amare, emancipava quei volti e quelle storie dalla dimensione puramente marxista in cui li avevano rinchiusi la letteratura e il cinema intellettuali, li tirava fuori dai cortei davanti alle fabbriche, dal racconto degli umiliati e degli offesi eternamente subordinati ai padroni. Dava loro, anzi, la possibilità di innamorarsi (persino di un padrone!), di scegliere almeno il proprio destino sentimentale, di diventare materia per una commedia dove il gioco delle parti restava lo stesso ma cambiava ogni volta. 

C’era poi il tema dell’essere donna, detto senza fregole modaiole di oggi. L’Italia del tempo era non solo bigotta ma pure sessista a destra come a sinistra, e in fondo lo è ancora, e Lina che sfidava i maschi e faceva il suo cinema libero e sfrenato non poteva mica stare simpatica. Lei però non ha mai prestato il fianco al gioco del femminismo usato per convenienza. È stata la prima regista donna candidata all’Oscar, ovviamente per Pasqualino Settebellezze, ma non ha mai utilizzato questo primato per strumentalizzare il suo genere e il suo ruolo.

 

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